Di Peppe (Giuseppe) Consolmagno abbiamo parlato nel numero
scorso, recensendo uno dei lavori più recenti usciti per Cajù
Records, cioè quel Vasconcelos - Salis – Consolmagno che non
solo di jazz ci ha parlato (musicalmente, si intende). Peppe
Consolmagno è un percussionista dallo sguardo aperto: un occhio
al Brasile e alla sua ricca tradizione musicale, un occhio
all’europa e al jazz, la didattica, la sperimentazione su
materiali e struttura degli strumenti stessi (buona parte delle
percussioni che utilizza le ha realizzate nel suo laboratorio di
Tavullia, oltre ad avere prestato la propria opera ad artisti
come Nanà Vasconcelos, Cyro Baptista, Trilok Gurtu e altri). Se a questo aggiungiamo anche un’ottima frequentazione
live, non potevamo esimerci dal domandargli cosa ne pensasse di
argomenti particolarmente cari a questa rubrica (e non meno a
questa rivista) quali: improvvisazione e live music,
autoproduzione, autarchia musicale in genere. Ecco il risultato
di un breve, ma intenso, scambio di mail avvenuto fra il vostro
e l’artista.
Luca Confusione: [Improvvisazione] E’ un essenziale
strumento compositivo, lo stato naturale della performance
musicale o lo stato grezzo dell’arrangiamento? Qual’è
l’atteggiamento nei suoi confronti, cioè, nel tuo caso, di
cosa parliamo, di improvvisazione totale o di una deviazione
dall’improvvisazione jazz?
Peppe Consolmagno: L’improvvisazione è quello che fa
la differenza nella musica. Improvvisazione vuol dire
ispirazione momentanea, interazione con il pubblico e con gli
altri musicisti. Vuol dire libertà, allargare le proprie idee
musicali, formulare idee nuove. Sono attratto dall’aspetto
creativo, dallo scambio di emozioni, dal suonare con persone
aperte e disposte a mettersi in discussione. Nella mia musica
questi elementi sono molto presenti. I miei recenti 4 CD fatti
con la Cajù Records penso che siano un buon esempio. Sono tutti
progetti diversi, in cui mi confronto con me stesso - Timbri dal
Mondo (Cajù 4558-2) , in duo con Antonio Marangolo -
Kalungumachine (Cajù 4558-3) , in trio con Nana Vasconcelos e
Antonello Salis – Vasconcelos Salis Consolmagno (Cajù 4558-5)
e in quartetto con il gruppo Ishk Bashad insieme a Giuseppe
Grifeo, Mouna Mari e Enzo Rao - Ishk Bashad live at Womad 2001
(Cajù 4558-4). In tutti l’elemento creativo e improvvisativo
è ben presente, Kalungumachine e Vasconcelos Salis
Consolmagno lo sono in maniera totale. Il primo è frutto di
soli tre pomeriggi di studio di registrazione senza prove e
senza una scaletta preparata; si parte, si suona, si registra,
si mixa, si fa il master. Il secondo documenta felicemente il
primo incontro tra Nana, Antonello e me. Mai suonato prima
insieme tutti insieme, un’ora e mezza di prove, per meglio
dire giusto il tempo di creare una scaletta, via sul palco e
buona la prima. Come dire: senza le condizioni che elogiavo
prima, come si possono affrontare delle situazioni così
impegnative quanto stimolanti?
LC: [Didattica] L’artista ha la possibilità, oggi, di un
contatto più diretto con il suo pubblico (non parliamo di
attività live), quasi di un dialogo completo in real time, ma
è pronto a questo? Anche in relazione ai workshop e alle
attività didattiche svolte, che ruolo hanno i nuovi media
nell’attività di Peppe Consolmagno? C’è un cambiamento
tangibile in atto in ambito musicale in questo senso?
PC: il computer e la rete sono cose fantastiche e molto
utili… quando funzionano. Ho sempre avuto un rapporto
difficile con l’elettronica… come dire: tutto giusto, poi va
via la corrente e non c’è più niente. Per chi ama
comunicare, la parola parlata (non quella scritta che è muta),
la gestualità, il contatto con il pubblico reale, sono cose
fondamentali, sei te stesso senza dover dipendere da fili e
macchine. Detto questo, le forme interattive, l’uso di
internet e del computer permettono di “esserci” in maniera
rapida e di comunicare con un numero di persone molto ampio.
Persone in svariate parti del mondo possono seguire le tue
attività che diversamente non avrebbero potuto avere accesso.
Ti trovi davanti ad un nuovo tipo di pubblico, attento e
sconosciuto. Trovo molto utile essere presente in internet anche
con un proprio spazio web sempre ben aggiornato e ricco di
informazioni, di ascolti mp3, di fotografie, di recensioni, di
interviste, di news, con link che ti permettono di espandere
l’informazione che stai leggendo. Preferisco essere sempre
molto semplice, chiaro e facilmente leggibile per intenderci:
“sfogliabile” senza far perdere tempo al visitatore
utilizzando sistemi che in tutto il mondo con qualunque tipo di
formato, dimensioni e velocità, risulti visibile. Così pure
l’uso della posta elettronica, sapendo che ci sono PC che
usano programmi che leggono i formati html o quant’altro e chi
invece no, è meglio adottare un formato meno elegante ma da
tutti leggibile. Da qui ad aggiungere forme di dialogo o di
studio in diretta ancora non mi sono attrezzato. Credo che ne
valga la pena, anche se non solo i musicisti non sono ancora
abituati ma penso neanche gli utenti. Non tarderà ad introdursi
come un sistema quotidiano. Non mi piace però pensare a questa
possibilità anche come un modo per non spendere. Il poco porta
al poco e quel poco costa sempre di più. Per concludere: trovo
inutile opporsi a queste realtà che ormai hanno già un terreno
stabilito e programmato da cui è impossibile esonerarsi, credo
che prevalga sempre il buon senso. L’antico e il moderno, la
tradizione e la modernità, la memoria e il futuro, devono
camminare insieme.
LC: [Autoproduzione] Spesso questa parola nel nostro paese è
sinonimo di “unica possibilità”, per alcuni
artistimusicisti che si trovano a proporre idee o troppo
personali, o poco adatte a un mercato e ad un pubblico non
ricettivo (e poco abituato ad esserlo). Nel tuo caso, in quanto
costruttore (quindi produttore), spesso, degli strumenti che
suoni, quali differenze interpretative puoi dare della parola
autoproduzione?
PC: Il genere di musica a cui appartengo è destinato ad
un pubblico ristretto, pertanto l’autoproduzione la vivo in
maniera abbastanza positiva. Se un prodotto vale è giusto che
venga stampato e che documenti un momento della tua storia. La
quantità di dischi che vengono venduti ad esempio di un
musicista jazz , equivalgono alla quantità di dischi che una
produzione pop o rock destina alla promozione. Capisci bene, che
se anche il livello di quell’artista è alto e il suo settore
è di interesse culturale importante, fa parte comunque di un
ambiente per pochi, mosso sempre e solo da persone che credono
in quel progetto, amano quella musica, lontano da conti
economici fatto di piccoli guadagni e con molta probabilità
anche in perdita. Potrei dire che tutta la mia vita è stata
un’autoproduzione. Dal mio modo di essere, di vivere, di
vedere la musica, di studiarla, di suonarla, nel costruire i
miei strumenti musicali per avere un rapporto più intimo con
loro che mi permette di dialogare con loro. Il pubblico credo
che sia molto più intelligente di quanto possa sembrare, è
quello che li circonda che li rende timidamente ottusi. I miei 4
CD che sono usciti ad aprile del 2005, sono frutto della
coproduzione della Cajù Records per volere di Peter Kauffmann
che si occupa insieme a Carlotta Fischer delle mie attività e
della DNA di Carlo Rossetti buon amico nel tempo.
LC: [Intermedialità] Le altre arti influiscono sulla musica?
Anche l’intervenire, il costruire, il proprio strumento è
allargare i confini del media musica. Questi, cosiddetti,
confini sono visibili o vaghi e sensibili ad un attraversamento
repentino? Da cosa sono rappresentati?
PC: Le mie esperienze le ho sempre messe a servizio una
dell’altra, non sono mai stato ne gradisco essere
“mono”. Un musicista prima di essere tale è una persona che
può portare la sua intenzione in un determinato mestiere. Non
si possono scollegare le due cose. L’esperienza di vita è la
chiave di accesso al saper vivere, di andare ad un ristorante
come salire sul palco in maniera appropriata. Ti faccio un
esempio: se vai in ristorante e c’è molta gente e vuoi
mangiare la pizza, hai poco tempo ma vedi che il pizzaiolo è
molto indaffarato, dai uno sguardo alla cucina e vedi invece il
cuoco abbastanza tranquillo, è inutile ordinare la pizza e poi
arrabbiarsi perché hai aspettato troppo tempo. Ti adatti,
prendi un primo piatto, sarà sicuramente cotto bene, il
cameriere sarà più tranquillo, tu più rilassato, bypassi
tutta quella bolgia di gente che aspetta di mangiare, hai
rispettato i tuoi tempi…così e’ la vita, così è la
musica. Come si può pensare alla musica senza la parte
creativa, senza interagire con le altre forme d’arte. Nel mio
caso il fatto di avere manualità, di saper trovare i materiali,
di saperli trattare, di saper costruire i miei strumenti, mi
permette di vivere la musica suonandola. Conoscere i materiali,
vuol dire cercare, studiare, viaggiare, incontrare persone,
culture, tradizioni, confrontarsi e integrarsi, rispettare e
apprendere. Sono questi gli ingredienti della vita, basta
assemblarli in maniera coerente. Passando attraverso le fibre
dello strumento si può comunicare meglio. Come interagisci con
lo strumento nella stessa maniera puoi interagire con il
pubblico, questi due elementi devono essere una cosa sola.
LC: [Ambiente] L’Italia cos’è? Per il musicista è solo
il luogo che gli ha dato i natali o...? Non chiedo un giudizio,
ma una valutazione del fattore ambientale. Ha senso per i
musicisti continuare a nascere in questo luogo?
PC: Dove si nasce è importante, è il punto di partenza.
Nascere in Italia in generale non è così male Per quanto
riguarda la musica, tutte le regioni hanno buone, ed in taluni
casi ottime, radici musicali. Il problema è che molte non le
vivono nella quotidianità, le regioni del sud Italia e poche
altre lo fanno abbastanza. Ci sono paesi come il Brasile nel
quale la musica è un modo di vivere, quando è così allora sì
che le cose cambiano e di molto. Per un musicista l’importante
è frequentare quei paesi che danno la possibilità di crescere
e di confrontarsi. In Italia questo, a dire il vero, succede
piuttosto poco. L’Italia è ancora tutta piccola provincia, da
un lato ti permette di vivere bene, dall’altro il
provincialismo è schiacciante e non aiuta chi vuole fare. E’
risaputo che dalla difficoltà vengono fuori cose belle. La cosa
importante non è il luogo dove nasci, ma nascere in una
situazione che dia la possibilità di muoverti e di
sperimentare.
Luca Confusione
RECENSIONE
del CD VASCONCELOS, SALIS, CONSOLMAGNO a cura di Luca
Confusione
Peppe Consolmagno, Nana Vasconcelos, Antonello
Salis Vasconcelos_Salis_Consolmagno (Cajù Records, 2005)
di ©2005 Luca Confusione
- Music Club n.154 09/05
Le
registrazioni contenute in questo cd sono quelle effettuate
durante il concerto tenuto dal trio Nana Vasconcelos, Antonello
Salis, Peppe Consolmagno a Roma al Fandango Jazz Festival il 15
luglio 2004. Peppe Consolmagno è percussionista nostrano,
viaggiatore e anche per questo sperimentatore, autocostruisce
gran parte dei propri strumenti, organizza workshop e corsi per
l’introduzione di giovani e non al mondo delle percussioni,
vanta un ampia serie di partecipazioni a festival internazionali
e concerti con i progetti nei quali è coinvolto. Nana
Vasconcelos (percussioni) e Antonello Salis (fisarmonica e
pianoforte) sono noti in ambito jazzistico e hanno
già collaborato (all’attivo un album Lester del 1985). Sembra
che i tre si siano incontrati solo il giorno prima del concerto
decidendo in poco meno di due ore come strutturare la
performance che, devo dire, è difficile catalogare come
jazzistica, anche se di sicuro è attraversata da umori e
melodie di questo tipo. Ma il concerto è qualcosa di più e
diverso dalla semplice somma delle parti, è uno scorrere di
immagini sonore, costruzioni poco canoniche che sembrano
piegarsi alla congiuntura favorevole. E’ un umore emergente
che sa di Brasile, di Africa, di Europa (invero è da qui che
arriva la vena jazz). I brani scorrono e le performance dei tre
artisti si susseguono costituendo un patchwork timbricosonoro
che è amalgama materica degli stessi, dei loro strumenti e dei
loro umori: delayed voice e gong creano squarci naturalistici
rotti da sincopati inseguimenti pianistici che confluiscono
infine in atmosfere rarefatte, quasi spettrali, grazie a piatti
e riverberi. E’ evidentemente una musica emotiva, che vive del
piacere che provano gli esecutori nel suonare insieme, nel
costruire sul momento il pezzo giustapponendo pattern o timbri,
nell’improvvisare liberamente o ponendosi vincoli (come
concertazione d’insieme ovviamente non a livello di spartito).
Questo è ciò che si immagina e desume dall’ascolto e dalle
informazioni disponibili, fatto sta che il contenuto sonoro
risulta ispirato e godibile. Merito ulteriore inoltre va alla
fedeltà del materiale che è stato registrato in un’unica
serata su due tracce. Dispiace solo non avere una
testimonianza visiva che di questa musica fisicamaterica deve
essere una parte essenziale del modo di fruizione. Chissà, forse
in futuro?
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