DRUMSET MAG
"Face to Face " Peppe Consolmagno: L'Ambasciatore A ruota libera con il musicista romagnolo-marchigiano, certamente il più attivo, appassionato e profondo "ambasciatore" della percussione brasiliana in Italia.
Peppe Consolmagno, sei più romagnolo o marchigiano? Sono
nato a Rimini, vivo
a Tavullia, nel pesarese, ma mi
sento romagnolo più che marchigiano perché mia nonna, mia madre e mia
sorella sono tutte di Rimini. Quindi direi romagnolo, ma conosco bene le
Marche poiché sono qui da sempre. Avendo anche una parte della mia famiglia
che è meridionale (provincia di Salerno), alla fine non mi sento di un
luogo specifico.
Il
folklore romagnolo che imperava in quelle terre di confine ha influito sulle
tue scelte musicali? Mi
ha influenzato poco e non in modo positivo, anche se tutte le regioni nel
profondo hanno qualcosa di interessante. E’ vero che il folklore è stato
ed è dominante tanto che fin da bambino sono stato circondato dal liscio
romagnolo, ma non appartengo a
quella cultura musicale.
In
famiglia si respirava musica? E quando è avvenuto il tuo approccio al mondo
musicale? Mio
nonno di Aquara (Salerno) suonava in banda, mia madre è
pittrice, quindi in qualche maniera l’arte era nell’aria di casa
mia. Da piccolo ero attratto da tutto, dalle cose di cucina,
come facevano la piadina, dall’arte di cucire e rammendare. Mi piaceva
dilettarmi con queste pratiche quotidiane che aiutavano a sviluppare la
manualità. La mia curiosità verso la musica è venuta da più grandicello
e non tanto per capirne i suoi segreti, ma per scoprire gli strumenti che mi
interessavano.
Va detto però che a 7 o 8 anni, mi
divertivo a giocare con la musica, cioè a costruire strumenti musicali
perché mancava tutto e allora mi facevo batteria,
bacchette, con oggetti di
recupero. Poi, piano piano, la curiosità è avanzata e mi sono messo in
modo deciso dentro la musica, non studiando metodi di solfeggio come il Bona
ma cercando di capire come si muovono certe musiche. Fare musica per me era
qualcosa di completamente diverso rispetto al sentire comune: voleva dire
studiare i materiali e analizzare lo strumento, da quale cultura proveniva,
perché costruito e suonato in quella maniera.
Una sorta di percorso all’incontrario, partire dalla radice per arrivare
alla musica prodotta. Con
il senno di poi, pensi che ti avrebbe giovato combinare studi accademici e
percorsi da autodidatta con la musica orale?
Percussionista,
musicista, artista, divulgatore, giornalista, fabbricante di strumenti.
In una parola chi è Consolmagno? Di base mi sento un musicista, se vuoi, percussionista, ma l’immagine del percussionista è molto variabile da un paese all’altro, e allora dire musicista è più consono a ciò che faccio. Costruire i miei strumenti è viverli e questo mi mette in condizione suonando, di dialogare con loro. Ho costruito strumenti per colleghi importanti, primo fra tutti Nanà Vasconcelos, ma non ne ho fatto mai un mercato, anche se potrebbe essere una opzione nel futuro. Allo stesso tempo essermi interessato di altre culture e poi di divulgarle mi ha aperto orizzonti per la mia stessa musica. Ho scritto tanto sul Brasile, di strumenti, delle tradizioni, delle culture, di capoeira e altro ancora.
Confermo:
leggevo i tuoi articoli che andavano oltre la tecnica strumentale e
rappresentavano dei tasselli storico-musicali importanti per avvicinarsi
alle culture del Brasile. E’ vero, la tecnica strumentale era secondaria, perché se non conosci il mondo culturale dove si sviluppa una certa modalità la musica che prende ispirazione da quella realtà, in questo caso il Brasile, rischia di non avere l’essenza dell’anima brasiliana, il balanço. Per quel che mi riguarda quando cammino, parlo o quando penso ho il balanço brasiliano e non la clave cubana ad esempio.
Ai neofiti vogliamo dire cos’è il balanço? E’
la chiave di lettura su cui si muove il ritmo brasiliano, è un
bilanciamento che guida, che orienta. Un
piccolo dittatore del ritmo come è la clave
nei ritmi cubani? Esatto,
si muove diversamente dalla clave
ma è colui che dà lo swing alla musica brasiliana. Quando senti la clave
sai di essere a Cuba, ma con il balanço
per forza sei in Brasile. Già,
il Brasile, la tua principale fonte di
ispirazione; ma i tuoi concerti non sono
dei veri tribute alla musica
brasiliana. E’ così? La
cosa che mi ha attratto del Brasile è la mistura di tre elementi, tre
colori bianco, nero e giallo, vale a dire europeo, africano, indio, e la mia
ispirazione viene dal risultato di questa mistura, in questo senso
posso dire che il Brasile fa parte di me, pur non facendo musica brasiliana
in senso stretto. Le mie musiche infatti sono originali senza etichetta,
tanto è che li suono in contesti musicali differenti tra loro, pur
mantenendo la mia autenticità. Apriamo
una parentesi. Com’è visto dai brasiliani,
e in particolare dalle Istituzioni, il lavoro di divulgazione del
Brasile che tu svolgi nel nostro Paese? Mi
fa molto piacere che tu me lo chieda perché posso dire che il mio lavoro è
molto apprezzato, e come ho sempre detto, sia là che qua, per parlare di un
paese è importante conoscerlo e in profondità. Prima di divulgare bene è
necessario lavorare per capire come un italiano vede il Brasile e viceversa,
completare il ciclo che è utile per non cadere nei pregiudizi. E così
si dà la possibilità al brasiliano di sentirsi capito per quello che è
veramente, e da lì si pongono le basi di un rapporto corretto con il mondo
europeo. Ripeto, il mio lavoro viene valorizzato su più fronti. Quali
sono gli strumenti brasiliani che non possono
mai mancare nel grande tappeto che accompagna le tue performance? Porto
con me sempre e solo gli strumenti che utilizzo. Colloco i miei strumenti
sul mio tappeto come fa un pittore sulla sua tavolozza. Ogni mio strumento
quindi è importante e con ognuno di loro interagisco e dialogo per fare
musica. Per quanto riguarda quelli della tradizione brasiliana
sicuramente i caxixi, il
berimbau. Ai caxixi
ho dedicato molto tempo, una quindicina di anni cambiando forma e modelli e
ricercando nuovi materiali per arrivare a quelli che vedi in scena. Perché tanta
cura verso i caxixi? Bisogna dire che i caxixi sono per me l’equivalente dei piatti per un batterista e
hanno quel suono caratteristico senza il quale viene a mancare lo swing,
l’energia alla musica. Fermiamoci
un attimo sui piatti, che fanno parte del tuo set.
Anche questi sono autocostruiti? No, però a volte ho adattato alcuni piatti come nel caso di Lua, brano molto significativo, realizzato solo con piatti da batteria lo si può ascoltare sui miei cd Timbri dal mondo, Kalungumachine e Vasconcelos, Salis Consolmagno tutti postati su You Tube. Ho fatto solo alcuni interventi, battendoli, modificandoli per riuscire ad avere un suono che mi piacesse. La fabbricazione dei piatti richiede una tecnica particolare, è un’arte, un lavoro molto serio, complesso, e perciò è meglio affidarsi a chi ha una lunga storia alle spalle come ad esempio la UFIP. Spieghiamo bene: i piatti iniziano a “cantare” e tu vai
all’inseguimento degli armonici per creare poi una sorta di interplay
strumentale? Ascoltando
Lua si può pensare a una tastiera elettronica ma non
lo è. Ho disposto i piatti, alcuni anche inusuali, di varie misure su di
un’asta formando un albero, li percuoto e catturo gli armonici che inseguo
con il microfono a cui unisco la voce creando una melodia. Insieme cantiamo,
dove, melodia, ritmo e armonia convivono piacevolmente. Quindi la ricerca dei suoni, del timbro, è la tua poetica e una modalità
per esprimerti e comunicare? Certamente.
Sicuramente il suono, il timbro è ciò che mi colpisce: non mi interessa
l’effettismo, il rumorismo, il ritmo forsennato, l’esibizionismo, il
bodybuilding, pratiche che tengo a debita distanza. Mi interessa il
simbolismo, capace di evocare una relazione tra
un oggetto e un’immagine mentale.
I miei
interventi sonori sono strettamente legati a questo, simboli creati dal
sentire, ascoltare e trasformarli in musica. A fronte di quanto appena
espresso, e tenendo
conto dell’oggi sempre più orientato
al tecnicismo, mi viene da chiederti se hai difficoltà a trovare partner in
linea con le tue sensibilità musicali. Non
è facile trovare qualche tuo “simile”, perché
c’è poca gente a cui piace rischiare e mettersi
in discussione. Quando suoni in questo modo – cioè con il suono che parte
e gli armonici dialogano tra di loro e il suono e gli armonici prodotti
dagli altri musicisti – diventa uno scambio continuo e sul dialogo si
improvvisa, si crea. Pochi sono disponibili a percorrere questa direzione,
ma quando il dialogo c’è, allora vengono fuori cose eccellenti. Hai chiamato in causa l’improvvisazione, che è una caratteristica
presente in diverse forme espressive della musica, ma che soprattutto
caratterizza il jazz. Ti consideri un po’ jazzista? In
questo senso specifico direi di sì, anche se la mia musica viaggia per vari
confini. Quando trovo qualche musicista disponibile a dialogare, a creare -
e creare mi interessa di più che improvvisare! – allora entro con lo
spirito jazz, tanto che nell’ultimo cd Flowing
Spirits (Red Records), in trio con
Nicola Salvatori e Simone Spinaci, c’è molta creatività, ma altrettanto
buon jazz. Lavori in corso e progetti futuri? Il
primo impegno è quello di promuovere Flowing
Spirits l’ultimo disco in trio (Consolmagno, Salvatori,
Spinaci) che
abbiamo avuto l’onore di vederlo pubblicato con l’etichetta Red
Records,
di Sergio Veschi. Molto
interessante il duo con l'organista Giovannimaria Perrucci
(organo di
chiesa), abbiamo suonato al prestigioso Festival
de Órgão da Madeira
in ottobre con grande successo di pubblico e di critica; partecipando con la
mia solo performance e jam con musicisti residenti allo Scat
Funchal Jazz Club di Madeira , una bellissima esperienza. Ho iniziato a
lavorare con due cantanti che mi stanno coinvolgendo nei loro progetti
originali: Frida Neri sul fronte fado e aperta a nuove esperienze sonore, e
Thea Crudi (insieme ai pianisti Beppe
Grifeo e Mario Mariani) di matrice jazzistica, ma ora si sta occupando delle sue recenti
esperienze sulla musica di Java. Ho in corso altri progetti: con poeti di
varie parti del mondo; workshop con i bambini delle scuole elementari,
unendo l'ambiente e la musica, un progetto elaborato da Michela Pacassoni. DRUMSET MAG Dicembre 2013
Giuseppe) PEPPE
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