Interviste
Rivista ArtCast
“Una voce sola, la voce di infinite voci”
Intervista a Peppe Consolmagno di Roberto Recchimurzo
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Come
è iniziata la tua passione per la musica e cosa ti ha spinto a creare strumenti
musicali con materiali recuperati durante i tuoi viaggi?
In
che modo le culture extraeuropee, come quelle del Brasile, dell'Africa e
dell'Asia, influenzano il tuo lavoro musicale? Sono sempre stato amante della natura, dei silenzi, dello spazio, del suono e della gestualità. E’ necessario aver ben chiaro che ogni cultura si esprime musicalmente con i suoi strumenti, con la loro tecnica di costruzione, con la loro maniera di suonarli, con la loro pulsazione e questo accade pur utilizzando materiali simili. Più che di musica si parla di gesto musicale e di maniera di vivere. Questi principi si trovano in varie parti del mondo, ma per quanto mi riguarda li ho trovati in Brasile, un paese pieno di contraddizioni, che si muove dentro un triangolo colorato: giallo, nero e bianco. Un paese che mi fa sentire a casa. Non suono musica brasiliana, o africana o asiatica in modo specifico. Fare una cosa esattamente uguale all'originale non è nelle mie corde: Lo è invece riportare tutte le informazioni che acquisisco viaggiando, studiando, scrivendo, nel mio bagaglio di esperienze per poi personalizzarle. L’importante è essere sempre rispettosi della tradizione, che è una cosa estremamente profonda. Le mie musiche infatti sono originali senza etichetta che mantenendo la mia autenticità.
Puoi
descrivere il processo di costruzione di uno dei tuoi strumenti musicali
preferiti e il significato che ha per te? Mentre
costruisco i miei strumenti li vivo e quando suono dialogo con loro. Non mi è
mai piaciuto comprare uno strumento senza conoscere la sua storia, la sua
provenienza, chi l'ha costruito, come lo si suona. Conoscere i materiali, le
fibre e le possibilità che offrono, permette di fare da ponte tra l'esigenza
strumentale e la parte creativa. E’ pur vero che tutto suona, ma non tutto
riesce a finire in musica, e questo dipende da come viene costruito e da come
viene suonato. Costruire un vero strumento musicale che sia capace di esprimersi
in contesti musicali differenti, sia acustici che amplificati, sia in studio che
dal vivo con una piccola o grande platea di pubblico non è affatto facile.
Quando decido di costruire uno strumento devo essere molto concentrato sulla
musica, sul suono e sulle caratteristiche dei materiali utilizzo. Altrimenti lo
strumento non viene fuori, non suona come dovrebbe, non riesci a suonarlo. Diversi
sono gli strumenti che mi sono costruito e che fanno parte del mio set, il
Berimbau, i caxixi, gli udu (n terracotta ed anche in vetro, Nana’ mi diede lo
stimolo a realizzarlo), i semi, i campanelli, il pecopeco, il kutuwapà, lua e
tanti altri. Gli strumenti invece che ho acquistato, seppur se scelti con
attenzione, li ho sempre modificati, personalizzati ed in alcuni casi totalmente
stravolti, uscendone fuori cose davvero uniche. Ho
costruito strumenti anche per colleghi di fama mondiale, primo fra tutti Nanà
Vasconcelos con cui ho un avuto un rapporto privilegiato, collaborazioni in
Europa e in Brasile, un cd in trio con lui, e nonostante la sua prematura
dipartita, ancora oggi sostengo insieme alla vedova Patricia, la sua figura e il
valore che ha ancora oggi nel panorama musicale mondiale. Su sua richiesta
realizzai per lui i caxixi, i semi marroni scuri e chiari che hanno fatto sempre
parte del suo set, un caxixi gigante, un piccolo udu in terracotta e altre cose
interessanti. Indicare
uno strumento in particolare non è facile. I caxixi per me sono strumenti
fondamentali, li considero come fossero i piatti e il rullante. Anche a loro ho
dedicato anni di studi per arrivare al modello definitivo. Come tutte le cose
semplici anche il caxixi è “semplice”: cesto di vimini intrecciati, base
risonante in zucca, semi all’interno, eppure eppure… Qual
è stata l'esperienza più memorabile che hai avuto partecipando a festival
internazionali come Umbria Jazz o il Festival Internazionale del Jazz a
Montreal? Partecipare
a festival internazionali è un grande privilegio e si vive in una dimensione
professionale che purtroppo spesso manca in altre situazioni. In questi festival
nulla viene lasciato al caso. Tutto è a servizio di un buon risultato. Non devi
chiedere niente. Ognuno ha il suo ruolo. La scheda tecnica deve essere
dettagliata e precisa, la cura della logistica legata ai trasporti, ai bagagli,
ai flight case, delle zone di accesso, dei permessi, l’hotel, gli orari per le
interviste e per i sound ceck. Nulla viene improvvisato. Si pensa che
organizzarsi così sia un costo, in parte lo è anche, ma i dettagli fanno la
differenza, l’approssimazione non paga, l’armonia sul posto di lavoro, la
cortesia e il rispetto, se li hai non costano niente ma fanno una differenza
enorme. La musica e il musicista ha bisogno di questo per poter esprimersi al
meglio e stimolare la creatività. A
Montreal è stato così, ero con il Marangolo Quartetto Orizzontale, un ricordo
da esempio da tenere nel cuore, anche il Festival Womad, quello diretto da Peter
Gabriel un ricordo indelebile, arrivati sul palco tutto già microfonato
rigorosamente secondo la scheda tecnica inviata, ero con il quartetto Ishk
Bashad, sound ceck fatto in pochissimi minuti, suoni ripresi in maniera
impeccabile, saliti sul palco, tutto si sentiva bene, concerto registrato a cui
è seguito il cd. Fra tanti potrei citare il Festival a Madeira (Portogallo),
Festival a Sousse (Tunisia) Parigi (con Nana’ Vasconcelos in trio), PercPan a
Salvador Bahia (Brasile sempre con Nana’), tutti in cui si respirava un’aria
differente, piena di buona energia. Le cose belle nascono da queste cose. Il
problema è tornare nelle piccole realtà quando sono mal gestite:
approssimazione, poca professionalità, troppo provincialismo, poco rispetto.
Peccato perché le piccole realtà hanno delle eccellenze a cui purtroppo a
causa di arroganza e presunzione non vengono valorizzate. Come
riesci a integrare il suono naturale, il silenzio, il timbro e il ritmo nei tuoi
spettacoli musicali? La
voce come equilibrio, il silenzio come musica, il suono come veicolo di emozione
e il ritmo come pulsazione queste sono gli elementi su cui è basato il mio
percorso musicale. Esiste una relazione intima tra suono e silenzio. Il silenzio
in musica è la miglior musica. Basterebbe concentrarsi nell’equazione: più
silenzio, meno note. Mi piace ricordare quello che ha detto Munir Bashir:
"Se la musica non esce dall'anima, resta solo il rumore". Ho
sempre creduto fermamente che fare musica sia un privilegio. Ragion per cui va
fatta con un grande senso di dignità. Anche stare su di un palco è un momento
di grande responsabilità e non mi stanco mai di dire che il pubblico va sempre
omaggiato. Sia
nel mio concerto in solo, sia quando collaboro con altri musicisti cerco di
“accomodarmi” nel luogo dove devo suonare, capire il tipo di collocazione,
la cura dei dettagli, la spazialità in cui mi trovo, il suo riverbero. Se il
concerto è amplificato, cerco di valutare anche il tipo di impianto, quanto è
stata rispettata la scheda tecnica e se il livello dell’organizzazione e del
service mi mette in condizione di stare a mio agio rispettando i miei strumenti,
che hanno frequenze molto ampie. Non capita spesso, nonostante le
raccomandazioni, troppo presappochismo c’è in giro. Ma capita per fortuna. Avendo
chiaro dove mi trovo, già cerco di capirlo anche dai primi contatti telefonici,
capisco quello che posso fare, in quale direzione posso muovermi e quanto mi
posso spingere. A questo punto inizia il rituale della preparazione del mio set
sul palco e da lì ha tutto inizio. Non
a caso il mio ultimo progetto in solo si chiama “Dance of Voices” - (voce,
coro, percussioni, symbols). Voce la mia, qualcuno fece a tal proposito una
bella considerazione: “una voce sola, la voce di infinite voci”. Voci quelle
del pubblico con cui interagisco e lo conduco a divenire una vera e autentica
orchestra di voci. Giocare con il riverbero che risponde, ti circonda, che dà
spazialità, inseguendo il suono realizzando un pan pot naturale, facendo musica
con poco. Per me è importante, e questo vale anche con i musicisti con cui
collaboro, fare musica senza compromessi, andando oltre agli stili. Quali
sono le sfide e le soddisfazioni che incontri nel tenere seminari e workshop
sulla musica extraeuropea e sulla costruzione degli strumenti a percussione? E’
una parte interessante del mio lavoro. Mi dedico a varie fasce di età, dai
corsi preparto, all’infanzia, all’adolescenza fino ad un pubblico più
specifico di addetti ai lavori. I miei seminari/workshop sono aperti a tutti: ai
bambini, agli anziani, attori, danzatori, agli insegnanti, musicisti non
necessariamente percussionisti. Mi piace molto portare il mio modo di fare
musica, i miei strumenti, le culture extraeuropee in conservatori ed istituti
musicali. Dare modo agli studenti di vedere oltre alla cultura occidentale sia
per quanto riguarda gli strumenti, sia per la pulsazione ritmica che identifica
le varie culture al mondo. Cose queste che spesso in questi luoghi manca.
L’Arco Musicale come ad esempio il Berimbau, è l’antenato di strumenti a
corda come la chitarra e il liuto, gli strumenti a pizzico come il clavicembalo,
quelli a strofinio come il violoncello o percossi come il pianoforte. La cultura
occidentale invece lo ridicolizza, che testimonia quanta poca cultura veicola,
quanta presunzione. Ho
dedicato anche molto tempo all’attività di scrittura collaborando con riviste
nazionali, quotidiani, Rai ect. con monografie, interviste, articoli, reportage.
Queste esperienze mi hanno fatto crescere la consapevolezza di chi sono e dove
sono. In
che modo la tua collaborazione con artisti di altre forme d'arte, come teatro,
pittura, scultura e poesia, arricchisce la tua espressione musicale? Come
si può pensare alla musica senza la parte creativa, senza interagire con le
altre forme d’arte. L’incontro è molto necessario. Quando si ha a che fare
con professionisti ha un senso. Ci sono organizzatori che propongono progetti in
cui inseriscono artisti di estradizione culturale differente e che si trovano a
dialogare direttamente sul palco. Le cose migliori accadono così. In condizioni
diverse è molto facile banalizzare. Progetti
futuri? Continuare
a fare cose belle con altri, fare sempre incontri stimolanti, suonare con
musicisti a cui piace fare musica senza compromessi. Non mi interessa in quale
direzione (sono passato dalle musiche elisabettiane del '600, al rock, dalle
variazioni di Goldberg alla musica di autore, dalla poesia alla scultura, dalla
musica per bambini al jazz, alla musica senza confini, definizione in cui mi
identifico più di altre), l'importante è poter essere libero e sempre ben
collocato.
(Giuseppe) PEPPE CONSOLMAGNO Link in italiano: Home page | Biografia | Progetti | Didattica | Concerti Live! | Interviste | Stampa | Foto | Cd | News | Links English links: Home page | Biography | Projects | Teaching | Live Concerts ! | Interviews | Press | Photos | Cds | News | Links |