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Alla scoperta del Brasile con Peppe Consolmagno
"Quando entri in modo profondo dentro una cultura, ti devi esprimere correttamente; l'occidentale, limitato com'è nel suo approccio al ritmo, tende a usare tutto in modo indistinto"
Abbiamo
avuto il piacere di incontrare un musicista davvero
particolare: percussionista innamorato del Brasile
ma da tempo immerso in un mondo musicale più ampio,
costruttore di strumenti a percussione tra gli altri per Nana
Vasconcelos, Trilok Gurtu e Glen
Velez, cronista musicale per Percussioni, Drum Club, Il Manifesto,
oltre che per All About Jazz Italia [per leggere la sua
intervista a clicca qui], apprezzato didatta e si potrebbe andare
avanti. Foto di Toni Luca All About Jazz: Peppe, proviamo un po' a ripercorrere i tuoi trascorsi musicali. Peppe
Consolmagno: Si è trattato di un percorso
decisamente autonomo. Parte della mia famiglia che
proviene da Aquara, un paesino vicino Salerno,
le cui tradizioni musicali sono molto radicate. AAJ: Cosa hai fatto a quel punto? P.C.: Anziché
perdermi troppo d'animo ho incominciato a imparare il
portoghese-brasiliano per strada, che mi ha permesso
lentamente di essere considerato meno estraneo, magari
come fossi un italiano che viveva in Brasile. Esistono due
modi per un brasiliano di parlare del suo Paese: c'è
quello che parla con (ri)sentimento sapendo che ci sono
dei pregiudizi da parte degli europei nei confronti del
cosiddetto terzo mondo però non conosce altre culture al
di fuori della propria. Il suo parlare è ricco di
sottintesi inaccessibili a chi non è un buon conoscitore
della sua cultura. Il mio innamoramento per questo Paese ha preso forma non solo attraverso la musica, bensì anche per mezzo di un'intensa attività saggistica per varie riviste. Ho scritto molto, in maniera precisa e documentata, proprio perché il miglior servizio che posso rendere a questa cultura così diversa dalla nostra è riportarla fedelmente. L'immaginario europeo su quel Paese è completamente sbagliato sotto aspetti molteplici: ad esempio, la letteratura, il teatro, la musica si ritrovano spesso fuse insieme, mentre da noi sono perlopiù divise per compartimenti stagni. Questa è una cosa di cui bisogna sempre tenere conto quando si parla, si scrive di quel Paese. AAJ: Chi sono stati i tuoi maestri? P.C.:
Il maestro vero sarebbe quello con cui hai un rapporto
più diretto, del quale diventi l'allievo. La vita, i
viaggi, il Brasile (il modo di vivere la frutta, gli
odori) sono stati i miei riferimenti. Non suono
specificamente musica brasiliana, anche se introduco
molto quella che è l'anima di quella musica. AAJ: Quando suoni, cosa prendi dal Brasile e cosa da altre tradizioni musicali? P.C.: Molti
percussionisti amano assemblare vari strumenti, suonare
di tutto un po'; certo è che se vuoi lavorare molto,
avendo più strumenti e conoscendo diverse tecniche
esecutive sei più versatile e dunque puoi fare molto di
più. In quel caso, le varie aree geografiche, ad esempio
l'Africa del Nord, l' Australia eccetera si trasformano
in una sorta di catalogo: con me questo approccio è
molto meno presente, anche perché gli strumenti me li
costruisco da solo. AAJ: Anche in certe parti d'Italia c'è una certa tradizione percussionistica: ha mai mosso il tuo interesse? P.C.:
Negli ultimi anni in particolare, la cultura della
tarantella e quindi degli strumenti come la tamorra
e il tamburello sta andando molto in particolare
tra i giovani, in maniera anche profonda. Questo revival
è però recente, negli anni in cui ho cominciato ad
interessarmi di percussioni non ne ero bene a contatto.
Le poche cose che avevo ascoltato non mi hanno mai
stimolato tanto. Per quanto il ritmo ossessivo sia legato
agli stati di trance, di cui nutro interesse e rispetto,
il tipo di accento e la pulsazione di questo tipo musica
non e' "la mia spiaggia". Mi trovo a mio agio
come si diceva all'approccio musicale di tipo
orchestrale. AAJ: Tu sei un conoscitore decisamente aggiornato della musica brasiliana. Ci spieghi cosa e come si muove in questo periodo? P.C.: In
Brasile la cultura musicale si muove tra Rio de
Janeiro e Salvador di Bahia, poi adesso c'è
molta musica a Recife e nello stato del Pernambuco,
a Nord-Est del Brasile - teniamo conto del fatto che il
Brasile è grande ventotto volte l'Italia e ci sono due o
tre zone da cui si muove la musica che poi viene
esportata. Ad esempio, nell'85 a Rio de Janeiro il
movimento musicale si stava affievolendo ed era più viva
Bahia; oggi invece è più viva Rio, Bahia è stabile e
nel Pernambuco c'è un grosso movimento. E dunque chi va
in un certo periodo in Brasile, può darsi che possa
trovare una scena musicale molto più viva in un certo
posto piuttosto che un altro, indipendentemente dal gusto
musicale che vuole seguire. AAJ: Cosa ne pensi degli esempi di contatto fra musica colta di matrice europea e il ritmo brasileiro, tipo Saudades del duo Gismonti/Vasconcelos? P.C.: Sarà che sono affezionatissimo a quel disco, ma quel modo di fare musica lo trovo veramente eccellente, molto raffinato. Egberto Gismonti, che conosco abbastanza bene, è musicalmente più legato a Chopin e Debussy, ha avuto una formazione in parte francese con Nadia Boulanger. La sua creatività è incredibile, è una persona molto rigorosa - non è un caso che anche lui si veda ben poco in Italia. Il fatto che Gismonti, come altri musicisti di caratura internazionale, siano spesso male accolti da certi organizzatori nostrani contribuisce ad allontanarli verso altri lidi molto più proficui. Purtroppo, quello di Saudades non è un linguaggio molto apprezzato, neanche dai musicisti: sono in tanti ad essere abituati al body building musicale, mentre quel disco è esattamente l'opposto. E poi, l'inserimento degli archi con quella spinta ritmica così forte e il berimbau di Nana Vasconcelos assume una forza straordinaria. AAJ: A proposito, sei d'accordo con me sul fatto che noi europei ci siamo ritrovati ritmofobici col passar dei secoli? P.C.: Beh, quando nelle stampe seicentesche veniva illustrato lo strumento a percussione suonato dal demonio, mentre il flauto lo suonavano gli angeli, qualcosa voleva pur dire; possiamo immaginare chiaramente quale ruolo minore potesse avere il ritmo all'interno di una struttura musicale. Al contrario, nelle culture cosìdette "primitive" extraeuropee è il suono basso, che può essere di qualsiasi strumento, ma più spesso di uno strumento a percussione come il tamburo basso, quello che comanda. Per un indiano, suonare le tabla vuol dire dieci anni di conservatorio: eppure, detta in maniera un tantino brutale, sembrano due barattoli messi lì a terra. Ma, come dicevamo prima a proposito delle varianti dei tamburelli a cornice, la questione non è solo relativa allo strumento, bensì al fatto che quella cultura dialoga con certe forme ritmiche particolarmente complesse. Ecco, quando entri in modo profondo dentro una cultura, ti devi esprimere correttamente; l'occidentale, limitato com'è nel suo approccio al ritmo, tende a usare tutto in modo indistinto. AAJ: Passiamo alla tua importante attività di musicista. A cosa stai lavorando in questo periodo? P.C.: Non ho mai avuto tanti progetti come in questo periodo e per me è un grande piacere, visto che la mia attività musicale è lontana dai circuiti tradizionali. In Italia si suona veramente molto poco; quando poi si vive in provincia, come nel mio caso, la distanza seleziona gli incontri da entrambe le parti: da chi ti vuole contattare, che attende il contesto giusto, e da te che tendi a scegliere occasioni per le quali ne valga veramente la pena. Sono già diversi anni che frequento solo festival e rassegne anche all'estero in cui ci sia una richiesta da parte del pubblico molto precisa. Prosegue regolarmente Timbri dal Mondo, il mio concerto in solo per percussioni e voci; questo discorso è legato anche alla didattica, con numerosi seminari e laboratori ed è uscito anche all'estero in più occasioni con mia grande soddisfazione, sia che mi trovi davanti a venti persone sia a duemila. Anche in questi spettacoli utilizzo un rack elettronico che permette di raggiungere un'acustica perfetta in qualsiasi sala o spazio aperto. Assieme a Nicola, valido fonico e amico, abbiamo riprodotto echi e riverberi che mi avevano colpito, come quello della vallata che hai davanti, oppure uno particolarmente suggestivo che ho colto qualche tempo fa in una piscina vuota. AAJ: Ma usi anche strumenti elettronici? "P.C.:
Non uso percussioni elettroniche, tutto ciò che si
ascolta è suono vero dei miei strumenti acustici da me
costruiti o adattati. Ti devo dire
che fino a pochi anni fa avevo una gran voglia di
registrare, ma le difficoltà soprattutto distributive
hanno reso sempre più complicati questi progetti; la
cosa migliore è farlo per conto tuo, autoproducendo il
disco e provvedendo personalmente alla distribuzione. Si ringrazia Chiara Giacomoni per la cortese collaborazione. Francesco Cisternino (
Giuseppe) PEPPE CONSOLMAGNO Link in italiano: Home page | Biografia | Progetti | Didattica | Concerti Live! | Interviste | Stampa | Foto | Cd | News | Links English links: Home page | Biography | Projects | Teaching | Live Concerts ! | Interviews | Press | Photos | Cds | News | Links
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